Verso recupero ‘green’ e resi- liente: contro i cambiamenti climatici non c’è vaccino. A cura di Martina Dorigo

  25 Febbraio, 2021

La crisi globale climatica continua a creare rischi senza precedenti per l’umanità. Eventi climatici estremi minacciano la sicurezza alimentare, incrementano il livello della povertà e contribuiscono anche alla diffusione del virus. E così miliardi di persone stanno lottando per sopravvivere ad entrambe queste crisi, la sanitaria e la climatica. Tali problematiche su scala mondiale richiedono altrettante soluzioni coordinate a livello globale. 

L’organizzazione che governa le politiche sul clima è davvero complessa. Nel 1988 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO nella sua sigla in inglese) diedero vita al Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), organismo scientifico indipendente in materia di cambiamento climatico. 

Qualche anno dopo la nascita dell’IPCC, nel 1992 nasce il segretariato dell’Onu chiamato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).  A questa agenzia fanno riferimento tutti gli attori che lavorano per il Clima. Ogni anno dal 1992 tutte le parti si riuniscono alle Cop (Conferenza delle Parti) dove rappresentanti di tutte le nazioni discutono e cercano di trovare un consenso politico sui passi da fare per far fronte agli effetti negativi sul cambiamento climatico. Quest’anno l’Italia ospiterà la pre-Cop 26 ed assieme al Regno Unito i due Paesi punteranno sulla “transizione verde” in un’ottica di sostenibilità, come affermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. 

Come si impegnano in pratica i governi delle singole nazioni ad adottare politiche volte ad investire su un programma ed un piano d’azione contro i cambiamenti climatici? 

Con la ratifica dell’accordo di Parigi sul Clima (dicembre 2015), gli impegni dei singoli stati per il cambiamento climatico vengono definiti “Contributi Nazionali Determinati” (NDC nella sua sigla in inglese), ossia obiettivi per mantenere la crescita della temperatura globale entro i 2 gradi centigradi.  Questi requisiti prevedono un bilancio globale ogni 5 anni per valutare i progressi collettivi verso il raggiungimento dello scopo dell’accordo e per informare ulteriori azioni individuali delle parti.

Nonostante, ci sia stato un leggero decremento delle emissioni di gas effetto serra con la pandemia, se non si agirà in forma decisiva, il pianeta si incamminerà verso un aumento della temperatura superiore ai 3 gradi centigradi alla fine di questo secolo, come ha sottolineato Inger Andersen Direttrice Esecutiva dell’UNEP. 

L’impegno politico si deve tradurre in investimenti su larga scala per far fronte ai cambiamenti climatici. Si calcola ci sia bisogno di circa 70 miliardi di euro annualmente a livello globale, prendendo in considerazione i bisogni e le priorità dei paesi in via di sviluppo, come sottolineato dall’UNFCCC. Un problema di solidarietà e di responsabilità, convalidato anche dall’Accordo di Parigi: le nazioni più sviluppate economicamente, responsabili di gran parte delle emissioni globali, hanno il dovere di sostenere gli stati che hanno contribuito di meno al riscaldamento climatico, ma che ne stanno subendo il maggior impatto. 

Quando si parla di investimento contro il cambiamento climatico si evidenziano due settori macro, che sono l’adattamento e la mitigazione. Mentre la mitigazione si riferisce agli sforzi per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra, l’adattamento al cambiamento climatico, significa anticipare gli effetti avversi del cambiamento climatico e prendere azioni appropriate per prevenire o minimizzare l’impatto che puo’ causare, e allo stesso modo significa approfittare delle opportunità che questo implica. 

Lo scorso 25-26 gennaio si è svolto il Summit sull’Adattamento Climatico ospitato dai Paesi Bassi, che ha visto la partecipazione di leader a livello mondiale come Angela Merkel, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres (etc.), organizzazioni internazionali, il settore accademico, il settore privato, la societa’ civile ed organizzazioni giovanili, i quali hanno sviluppato l’Agenda di Azione sull’Adattamento al Clima con piani specifici fino al 2030, la quale servirà come guida nei prossimi anni per accelerare gli investimenti per l’adattamento climatico. 

Inoltre il summit ha facilitato la formazione di nuove coalizioni, quali quella liberata dal Primo Ministro del Regno Unito, Boris Johnson chiamata “Coalizione sull’Azione per l’Adattamento al Clima” con l’obiettivo di accelerare gli sforzi per trasformare l’impegno politico in azioni tangibili nei territori più colpiti per supportare le comunità più vulnerabili agli effetti sul cambiamento climatico. 

Il finanziamento climatico indirizzato all’adattamento si estima raggiunga i 22 miliardi di dollari annualmente, mentre secondo un rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UN Environment), le nazioni in via di sviluppo dovrebbero investire tra i 140 ed i 300 miliardi di dollari annualmente entro il 2030 per adattarsi ad uno scenario con un aumento della temperatura di 2° centigradi. Questo significa, come evidenziato dal Rapporto sul Gap dell’Adattamento Climatico (GAP 2016) che i costi estimati sono dalle 9 alle 19 volte più alti che i livelli attuali del finanziamento pubblico internazionale all’adattamento. Ciò nonostante ricerca dimostra che gli investimenti per l’adattamento al cambiamento climatico e la resilienza hanno degli alti tassi di rendimento; ogni euro investito porterà dai 2 ai 10 euro in cambio. 

A livello globale, c’è sicuramente una maggiore coscienza dell’urgenza dell’ampliamento dei finanziamenti climatici, secondo questa linea le maggiori banche multilaterali per lo sviluppo ed alcune istituzioni hanno incrementato i loro obiettivi per il finanziamento climatico. Per citare due esempi, la Banca Mondiale ha annunciato a dicembre l’ambizioso obiettivo per un 35% di tutto il suo finanziamento destinato a generare co-benefici climatici nei prossimi cinque anni, sulla stessa linea, l’Europa, rispetto al 2013 ha più che raddoppiato i fondi raccolti per aiutare i paesi in via di sviluppo ad attenuare ed ad adattarsi all’impatto dei cambiamenti climatici. Infatti, L’UE, i suoi Stati membri (compreso il Regno Unito) e la Banca europea per gli investimenti costituiscono insieme il principale fornitore di finanziamenti pubblici per il clima ai paesi in via di sviluppo, con 23,2 miliardi di euro nel 2019, attraverso l’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico plus (GCCA+). I principali Fondi Internazionali per il Clima (meccanismi finanziari dell’UNFCCC), quali il Fondo Verde, il Fondo di Adattamento ed il Fondo Mondiale per l’Ambiente hanno finanziato complessivamente all’incirca 27 miliardi di euro e rivestono un altrettanto ruolo chiave nel finanziare progetti per l’adattamento o la mitigazione climatica nei paesi più vulnerabili, le cui condizioni di povertà delle componenti più fragili della società si sono acutizzate con la pandemia. 

La crisi climatica e quella sanitaria sono interconnesse, dato che entrambe impattano negativamente il benessere ed i mezzi di sussistenza delle popolazioni, ed in particolar modo quelle più vulnerabili. Alla luce di ciò gli investimenti per il ‘recovery’ devono essere mirati ad affrontare entrambe queste crisi e soprattutto i piani di ‘green recovery’ devono incorporare la resilienza e l’adattamento al cambiamento climatico come elementi trasversali. Inoltre c’è un’opportunità per ampliare gli investimenti nelle soluzioni basate sulla natura (‘Nature-based solutions’), perché ecosistemi sani sostengono intere economie e società: forniscono cibo, sostengono i mezzi di sussistenza, aiutano a combattere il cambiamento climatico e proteggono dai disastri naturali. 

Nei prossimi due anni si estima che i governi a livello mondiale spenderanno tra i 8 e i 15 triliardi di euro per riavviare l’economia mondiale, secondo un’affermazione del presidente dell’Istituto per le Risorse Mondiali (WRI per la sua sigla in inglese), un’economia mondiale che deve puntare alla resilienza e a basse emissioni di carbonio. 

Bisogna dunque impegnarsi in una risposta poliedrica, che realizzi l’interazione di mercato, istituzioni, cittadinanza attiva (a livello individuale e organizzato in enti intermedi) e imprese responsabili. Il che rimanda a un modello di sviluppo dove si comprenda l’importanza della sostenibilità ambientale, portando avanti gli sforzi della realizzazione di una economia circolare, basata sull’efficienza energetica dei processi produttivi, l’utilizzo di fonti rinnovabili di energia ed il rispetto per le risorse naturali. 

Martina Dorigo

BIOGRAFIA: 

Martina Dorigo è entrata a far parte del Fondo di Adapttamento (Adaptation Fund) come Analista di programma nel febbraio 2017. Prima di questo incarico, Martina ha lavorato per oltre tre anni nell’Unità di resilienza del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite e per il Programma Alimentare Mondiale per l’Iraq ed El Salvador. Martina ha esperienza nella progettazione, implementazione e gestione di progetti di riduzione del rischio di catastrofi, resilienza climatica e sicurezza alimentare ed è autrice e coautrice di pubblicazioni e documenti di conoscenza sui cambiamenti climatici e la riduzione del rischio di catastrofi. Martina ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS di Roma, Italia. Parla inglese, italiano, spagnolo e francese.